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Quando applicheremo il campione degli intonaci?

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Quando applicheremo il campione degli intonaci?

Compie dieci anni il test che ha portato la soluzione Aeternum Fire formulata da IIC a ottenere la certificazione T1 (la massima possibile) alla prova di resistenza al fuoco, secondo la norma UNI 11076. Tuttavia il rivestimento, che garantirebbe al peggiore degli incendi di non scalfire i ferri di armatura garantendo la stabilità strutturale della volta, non è ancora stato applicato. Una storia che potrebbe cambiare anche grazie al prossimo piano investimenti e a una nuova cultura della sicurezza infrastrutturale.

Anno 2021, epoca di epocali cambiamenti conditi da prospettive di investimenti miliardari per il rilancio della nostra economia e, con essa, per la messa in sicurezza delle nostre infrastrutture. Ne parliamo, in un altro punto di questo numero, raccontando la strategia di ANSFISA, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali, fortemente supportata dal Ministero Giovannini e prossimo attore protagonista nell’orizzonte PNRR, il Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza. Flashback: esattamente dieci anni addietro, 2011. Quando il Decreto legislativo n. 35/2011 recepisce la Direttiva 2008/96/CE, sulla gestione della sicurezza nelle infrastrutture viarie di tre anni prima. Fa data allo stesso anno, passando dalle norme alla ricerca applicata, la certificazione dell’intonaco protettivo denominato Innfire TK e successivamente messo sul mercato con il nome di Aeternum Fire, dato l’impiego, nel prodotto, del compound a elevatissime prestazioni Aeternum formulato dall’Istituto Italiano per il Calcestruzzo di Renate Brianza e applicato in diversi contesti costruttivi, dalle pavimentazioni industriali ai ponti ferroviari e stradali. La soluzione, quell’anno, è stata sottoposta a un significativo ciclo di prove da parte del Laboratorio Prevenzione Incendi LAPI di Prato, in conformità al dettato della norma UNI 11076, che definisce proprio le modalità di prova per valutare la capacità del protettivo da impiegare come rivestimento interno. Il risultato della prova è stato eccezionale: T1. Praticamente un unicum nel panorama nazionale. In parole semplici, ma a breve ci spiegheremo meglio, significa che a fronte di un incendio che sviluppa una temperatura di 1500 gradi per due ore consecutive il rivestimento fa sì che all’armatura del calcestruzzo arrivi una temperatura massima inferiore ai 250°C, il che impedisce di intaccarla. Nel caso della prova che racconteremo, le temperature sono state abbondantemente sotto-soglia, e l’elemento portante è risultato praticamente “al fresco”. Questo nel 2011: dieci anni fa. La domanda sorge spontanea: quante applicazioni sono state fatte con questo prodotto ad altissima tecnologia? La risposta è zero. E allora la domanda successiva non può che essere che questa: quando ci decideremo a far sì che le migliori soluzioni di ricerca e sviluppo nel campo della sicurezza delle infrastrutture, provate e certificate da laboratori autorizzati, vengano poi impiegate nei progetti e nei cantieri? Forse nell’anno 2021, inizio dell’era del Recovery Fund, la rotta potrà essere quella giusta, per questo così come per altri prodotti con gli stessi crismi e qualità.

Obiettivo sicurezza “antincendio” in galleria: applicazione dell’intonaco protettivo Aeternum Fire
Obiettivo sicurezza “antincendio” in galleria: applicazione dell’intonaco protettivo Aeternum Fire

 

Risultati d’eccezione

“Dopo 3 ore a 1500 gradi, i 6 cm del nostro rivestimento risultano appena scalfiti, la superficie non fonde e non cola. Ma il vero punto nodale è che non viene intaccato il ferro di armatura, che a determinate temperature potrebbe rammollire mettendo a serio rischio la stabilità struttura le della volta”. Silvio Cocco, presidente dell’Istituto Italiano per il Calcestruzzo e di Tekna Chem, rispettivamente formulatore e produttore di Aeternum Fire, non potrebbe essere più chiaro. “Siamo l’unica azienda, in questo campo, con la certificazione T1. All’interfaccia col protettivo, per raggiungere il T1 non si devono superare i 330 gradi di temperatura media e i 380 gradi di temperatura massima: noi abbiamo registrato 230 gradi di media e 271 gradi di massima…”. Per quanto riguarda, invece, i valori prossimi all’armatura, riprodotta nel test dall’applicazione di una rete metallica con applicati dei sensori a uno spessore interno di 25 mm, le soglie sono 250 gradi di temperatura massima e 200 di media: “Il nostro intonaco – rileva Valeria Campioni, vicepresidente IIC – ha raggiunto i 102 gradi di massima e 85 gradi di media”. La conseguenza: il calcestruzzo armato è risultato praticamente, come si diceva, al fresco. Per completare il quadro, va detto che questi risultati straordinari sono stati ottenuti applicando alla volta un rivestimento protettivo di 6 cm di spessore: 6 cm per avere la sicurezza assoluta e anche, in malaugurato caso di incidente, nessuna successiva problematica di ripristino, perché alle strutture non accadrebbe nulla. Applicazioni? “Zero. Ed è un peccato – rileva Cocco – che un prodotto altamente tecnico come questo finora non sia stato preso in considerazione: confido che quel cambio di passo culturale, che vede nei buoni frutti della ricerca e dello sviluppo un investimento strategico, più che un mero costo, possa davvero aiutarci a cambiare le cose, facendo sì che eccellenze tecniche come questa diventino standard nel nostro Paese”. Tra le applicazioni eseguite, una non infrastrutturale: la realizzazione di un pavimento antistante una fonderia, che non è mai risultato intaccato dalle elevate temperature. Un’ulteriore riprova, in un contesto tipico di trasferimento tecnologico, che la soluzione ha performance di valore assoluto.

 

Cultura della sicurezza

Il fulcro del discorso, in ogni caso, rimane la certificazione, sui cui aspetti tecnici torneremo in un prossimo intervento, dato l’interesse che l’argomento potrebbe avere per i nostri specialisti di safety underground, sia in ambito stradale sia ferroviario. In questa sede ci limiteremo a qualche accenno ulteriore, ribadendo la necessità, per il settore, di intensificare quel percorso di messa in sicurezza, anche e soprattutto attraverso soluzioni tecniche avanzate, avviato a seguito della Direttiva 2004/54/CE, quella sulla sicurezza in galleria da noi recepita dal Decreto legislativo 264 del 2006, il quale, in tema di resistenza al fuoco recita: “La struttura principale di tutte le gallerie in cui un cedimento locale della struttura possa avere conseguenze catastrofiche, come ad esempio le gallerie sommerse o le gallerie che possono causare il cedimento di importanti strutture adiacenti, deve assicurare un livello sufficiente di resistenza al fuoco”. Un altro fondamentale documento, in materia, è quindi rappresentato dalle “Linee Guida per la progettazione della sicurezza nelle Gallerie Stradali” elaborate dall’Anas la quale, attraverso le analisi di rischio, prescrive che “la struttura di tutte le gallerie in cui un cedimento locale della struttura possa avere conseguenze catastrofiche, come ad esempio le gallerie sommerse o quelle che possono causare il cedimento di importanti strutture adiacenti, deve assicurare un livello sufficiente di resistenza al fuoco definito mediante analisi di rischio”. Circoscrivendo il campo ai materiali protettivi e alle relative prestazioni, ecco quindi la cruciale e già citata norma UNI 11076, da applicare ai materiali protettivi utilizzati come rivestimento interno antincendio di soffitti, in conglomerato cementizio, di opere sotterranee quali gallerie stradali, ferroviarie, metropolitane, esposte a rischio di incendio derivante da mezzi di trasporto e dal loro contenuto. L’elemento di prova, di dimensioni minime di 1.450 x 1.450 mm, deve essere applicato su una soletta normalizzata, come previsto nel normale impiego, e posto a chiusura del forno. La misurazione della temperatura sull’elemento di prova deve essere effettuata attraverso termocoppie fisse così disposte:

  • 3 termocoppie poste a 25 mm dall’intradosso della soletta normalizzata
  • 3 termocoppie poste all’interfaccia tra materiale protettivo e soletta normalizzata.

Il campione deve essere sottoposto al riscaldamento previsto dalla curva temperatura/tempo precedentemente descritta per una durata di 2 ore. In funzione del risultato ottenuto, il protettivo viene classificato T1, T2 o T3 (tab. 1)

 

Focus sul prodotto

Dalle norme al prodotto, le cui caratteristiche abbiamo ampiamente anticipato. A proposito di classificazioni, quelle risultanti dai test effettuati presso il laboratorio LAPI sono T1 con uno spessore del pannello pari a 60 mm e T2, con spessore pari a 45 mm (tab. 2).

Sotto osservazione, come abbiamo anticipato, uno speciale intonaco refrattario premiscelato antifuoco studiato appositamente per resistere alle alte temperature e dotato di bassissima conducibilità termica: “Aeternum Fire – spiegano da IIC – è il risultato di molteplici test effettuati sia in laboratorio sia in situ. Si tratta di un compound costituito da una miscela opportunamente bilanciata di leganti idraulici inorganici, composti altamente coibenti e particolarmente resistenti alle alte temperature e agli shock termici”. Dal punto di vista applicativo, il prodotto va miscelato con acqua con l’impiego di un trapano a frusta o, ancora meglio, di un miscelatore, “fino a ottenere un impasto omogeneo e privo di grumi di consistenza tixotropica. La quantità d’acqua modifica ovviamente la reologia e quindi la tixotropicità dell’impasto; la variazione della quantità d’acqua è quindi in funzione della coesione che l’intonaco dovrà possedere una volta proiettato sulla parete verticale ed è in funzione del supporto alla quale dovrà aderire. I tempi di presa dipenderanno, oltre che dalla temperatura dell’ambiente, anche dalla quantità d’acqua. L’impasto, infine, va applicato con un’intonacatrice meccanica e lisciato non appena iniziata la presa”.

A cura di leStrade
in collaborazione con Istituto Italiano per il Calcestruzzo – Fondazione per la Ricerca e gli Studi sul Calcestruzzo

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